Parto per Baku; sono preoccupato per la discordanza di informazioni circa il visto di transito ed eccitato per la nuova destinazione. Completo l’imbarco e salgo nell’aereo, alla fine siamo veramente in pochi e, bellezza delle bellezze, la mia fila è completamente vuota: questo vuol dire che potrò provare a dormire allungandomi sulla fila.
L’aereo parte ed inizia la fase di crociera; mi tolgo la cintura, le scarpe e cerco di allungarmi sui sedili, pregustandomi il sonno ristoratore. Provo a chiuedere gli occhi e subito mi immagino il border control azero che inizia a borbottare circa la mancanza di un visto appropriato per le mie due ore di permanenza sul loro territorio.
L’ora che segue è una serie di maldestri tentativi di inventare una scusa ragionevole per l’immigration officer: “non sapevo che servisse un visto di transito”, “mi hanno detto che ne avrei potuto acquistare uno qui”, “mi scusi, ma se la AirBaltic mi ha detto che non serve, io cosa posso fare oltre che fidarmi?”. Alla fine mi tranquillizzo pensando che se prenderò un decreto di espulsione dall’Azerbaijan non sarà poi la fine del mondo.
Il tempo di tranquillizzarmi e di trovare una posizione comoda. Chiudo di nuovo gli occhi e cerco di trovare lo stato mentale adatto per la mia meritata dormita e … *BAM!* il carrello pieno di cioccolata rumena e sigarette turche si spiaccica contro mia caviglia. Dolore immane e pochissime (ma ben mirate) invocazioni alla Madonna!
Capisco che il mio piede taglia 45 deve essere retratto maggiormente onde evitare l’amputazione nottetempo. Mi pongo in posizione fetale e …. “Ueeeeeeeeeeeeeeeeh!, ueeeeeeeeeeeeeeeeh!” – un bimbo sembra non condividere con me il santo proposito di dormire. Dormire? Come non detto.
Arrivo al piccolo aeroporto di Baku. Da fuori è uno come tanti – dentro? Beh, dentro è tutta un’altra storia.
Come entro nell’androne l’onda d’urto di un tanfo bestiale di sudore colpisce e stende tutti i malcapitati che entrano. Qualche secondo di shock nasale e comincia anche quello visivo: code di gente a fare la coda per il visto (che diamine ci andrà tutta questa gente a fare a Baku?) e, a destra, un piccolo desk che sembra una mischia di rugby: sì, ci avete preso, è esattamente il transfer desk.
Mi faccio un po’ di coraggio e vado lì, pensando che non parlo un’acca di russo, turco o azero. Ci metto dieci buoni minuti a sgomitare tra la gente che formava la mischia – passaporti falsi, biglietti falsi, gente che spariva e che non si è più rivista. Inquietante. Arriva il mio turno: un dipendente prende il mio passaporto, l’altro il biglietto. Il passaporto viene controllato come se la mia faccia fosse quella di un immigrato del Kyrghizistan – per carità, non che sia bello, però che sono occidentale si vede – la foto viene tastata millimetro per millimetro per controllare se fosse stata manomessa. Il tipo mi ritorna il prezioso documento sbiascicando qualcosa, faccio un bel sorriso di circostanza. Il tipo del biglietto invece alza le pupille (ma non la testa) e mi chiede “quanti colli di bagaglio hai?” – rispondo: “due”. Replica: “ma hai pagato per i colli extra?” e ovviamente rispondo di sì. Ci pensa un po’ su. Non è convinto. Mi richiede “ma hai davvero pagato? Non hai una ricevuta?” – Mostro lo sticker che la AirBaltic mi ha dato quando ho acquistato, a solo 15 € lo ammetto, lo sticker per il secondo collo di bagaglio. Come se gli avessi mostrato carta straccia. “Ho capito, ma in fondo quanto hai pagato per il secondo collo?”. Temo di avere capito dove vuole arrivare.
Dopo un po’, io ed un altro manipolo di poveri disgraziati veniamo letteralmente spediti su un ascensore e mandati al piano superiore. Usciamo: nessuno che ci attende, nessuna indicazione. Ci troviamo nella hall delle partenze, praticamente vuota data l’ora. Dei catini disposti sul pavimento raccolgono le perdite d’acqua che arrivano dal soffitto e un paio di poveri cristi dormono sulle panchine. Inutile dire che non c’è posto per sedere.
Il tempo passa. Del tipo con il mio (e non solo) biglietto, nessuna traccia. Cominciamo a guardarci sgomenti – a queste latitudini la certezza dell’inglese come lingua franca svanisce. Passeggio nervoso lungo il corridoio e a un certo punto mi soffermo di fronte alla TV di cortesia: trasmettono “Tempi Moderni” di Chaplin. Un volo sta per partire – nessun display che lo annuncia, solo un povero cristo che dal gate comincia a gridare “Istanbul! Istanbul!”.
Mi faccio una passeggiata nel duty free e cerco di trovare qualcosa di locale da acquistare. Vedere le “palle di Mozart” a Baku fa impressione: mi aspettavo che ci fosse una proposta di di prodotti locali ma sembra invece che la globalizzazione abbia mietuto vittime pure qui. Vado dalla cassiera e chiedo “se volessi comprare qualcosa di azero, cosa potrei acquistare?” mi risponde “vino o vodka”. Ho capito, sarà per la prossima volta, grazie.
Dopo circa due ore, il tipo riappare con i biglietti. Sono centoquarantadollaribaby: venti chili per sette dollari al chilo. Non ho nessuna intenzione di pagare, ovviamente. Avendo un po’ di esperienza di Turchia, comincio a contrattare – so già che non riavrò il biglietto a gratis. “Massimo venti” – ingaggio. Fa l’offeso: “mi vuoi comprare?” – replico “ovvio che no, io ho già pagato il bagaglio, questa è una mancia”. Sorride “centoventi” – ribatto “cinquanta” – cerca di chiudere: “settanta e siamo amici”. “Euro vanno bene? – sì, vanno bene”. Allungo la pecunia (50 euro), infila velocemente la banconota nella giacca e mi rende il biglietto. Dalle lingue che usa con gli altri malcapitati, capisco che siamo stati attentamente selezionati in base alla provenienza (e verosimilmente alla capacità reddituale). Ha incassato almeno 250$ in una notte. Non so come verranno spartiti, ma sono un bel po’ di grana. Credo che succeda solo con i voli notturni.
Protestare e fare valere i propri diritti? Qui da queste parti? Se avete queste idee in testa, non partite neanche. Qui l’unica abilità che conta è negoziare.
Ho il biglietto e mancano due ore al prossimo volo, Baku-Tbilisi. Al volante di una carrettiera del cielo, il nostro comandante e la hostess energumeno dovranno vedersela con gente poco dimestica con l’acqua e passeggeri ubriachi che molestano le donne in aereo. Ma questa, lo sapete, è un altra puntata.