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Archive for ottobre 2008

Parto per Baku; sono preoccupato per la discordanza di informazioni circa il visto di transito ed eccitato per la nuova destinazione. Completo l’imbarco e salgo nell’aereo, alla fine siamo veramente in pochi e, bellezza delle bellezze, la mia fila è completamente vuota: questo vuol dire che potrò provare a dormire allungandomi sulla fila.

L’aereo parte ed inizia la fase di crociera; mi tolgo la cintura, le scarpe e cerco di allungarmi sui sedili, pregustandomi il sonno ristoratore. Provo a chiuedere gli occhi e subito mi immagino il border control azero che inizia a borbottare circa la mancanza di un visto appropriato per le mie due ore di permanenza sul loro territorio.
L’ora che segue è una serie di maldestri tentativi di inventare una scusa ragionevole per l’immigration officer: “non sapevo che servisse un visto di transito”, “mi hanno detto che ne avrei potuto acquistare uno qui”, “mi scusi, ma se la AirBaltic mi ha detto che non serve, io cosa posso fare oltre che fidarmi?”. Alla fine mi tranquillizzo pensando che se prenderò un decreto di espulsione dall’Azerbaijan non sarà poi la fine del mondo.

Il tempo di tranquillizzarmi e di trovare una posizione comoda. Chiudo di nuovo gli occhi e cerco di trovare lo stato mentale adatto per la mia meritata dormita e … *BAM!* il carrello pieno di cioccolata rumena e sigarette turche si spiaccica contro mia caviglia. Dolore immane e pochissime (ma ben mirate) invocazioni alla Madonna!

Capisco che il mio piede taglia 45 deve essere retratto maggiormente onde evitare l’amputazione nottetempo. Mi pongo in posizione fetale e …. “Ueeeeeeeeeeeeeeeeh!, ueeeeeeeeeeeeeeeeh!” – un bimbo sembra non condividere con me il santo proposito di dormire. Dormire? Come non detto.

Arrivo al piccolo aeroporto di Baku. Da fuori è uno come tanti – dentro? Beh, dentro è tutta un’altra storia.

Come entro nell’androne l’onda d’urto di un tanfo bestiale di sudore colpisce e stende tutti i malcapitati che entrano. Qualche secondo di shock nasale e comincia anche quello visivo: code di gente a fare la coda per il visto (che diamine ci andrà tutta questa gente a fare a Baku?) e, a destra, un piccolo desk che sembra una mischia di rugby: sì, ci avete preso, è esattamente il transfer desk.

Mi faccio un po’ di coraggio e vado lì, pensando che non parlo un’acca di russo, turco o azero. Ci metto dieci buoni minuti a sgomitare tra la gente che formava la mischia – passaporti falsi, biglietti falsi, gente che spariva e che non si è più rivista. Inquietante. Arriva il mio turno: un dipendente prende il mio passaporto, l’altro il biglietto. Il passaporto viene controllato come se la mia faccia fosse quella di un immigrato del Kyrghizistan – per carità, non che sia bello, però che sono occidentale si vede – la foto viene tastata millimetro per millimetro per controllare se fosse stata manomessa. Il tipo mi ritorna il prezioso documento sbiascicando qualcosa, faccio un bel sorriso di circostanza. Il tipo del biglietto invece alza le pupille (ma non la testa) e mi chiede “quanti colli di bagaglio hai?” – rispondo: “due”. Replica: “ma hai pagato per i colli extra?” e ovviamente rispondo di sì. Ci pensa un po’ su. Non è convinto. Mi richiede “ma hai davvero pagato? Non hai una ricevuta?” – Mostro lo sticker che la AirBaltic mi ha dato quando ho acquistato, a solo 15 € lo ammetto, lo sticker per il secondo collo di bagaglio. Come se gli avessi mostrato carta straccia. “Ho capito, ma in fondo quanto hai pagato per il secondo collo?”. Temo di avere capito dove vuole arrivare.

Dopo un po’, io ed un altro manipolo di poveri disgraziati veniamo letteralmente spediti su un ascensore e mandati al piano superiore. Usciamo: nessuno che ci attende, nessuna indicazione. Ci troviamo nella hall delle partenze, praticamente vuota data l’ora. Dei catini disposti sul pavimento raccolgono le perdite d’acqua che arrivano dal soffitto e un paio di poveri cristi dormono sulle panchine. Inutile dire che non c’è posto per sedere.

Il tempo passa. Del tipo con il mio (e non solo) biglietto, nessuna traccia. Cominciamo a guardarci sgomenti – a queste latitudini la certezza dell’inglese come lingua franca svanisce. Passeggio nervoso lungo il corridoio e a un certo punto mi soffermo di fronte alla TV di cortesia: trasmettono “Tempi Moderni” di Chaplin. Un volo sta per partire – nessun display che lo annuncia, solo un povero cristo che dal gate comincia a gridare “Istanbul! Istanbul!”.

Mi faccio una passeggiata nel duty free e cerco di trovare qualcosa di locale da acquistare. Vedere le “palle di Mozart” a Baku fa impressione: mi aspettavo che ci fosse una proposta di di prodotti locali ma sembra invece che la globalizzazione abbia mietuto vittime pure qui. Vado dalla cassiera e chiedo “se volessi comprare qualcosa di azero, cosa potrei acquistare?” mi risponde “vino o vodka”. Ho capito, sarà per la prossima volta, grazie.

Dopo circa due ore, il tipo riappare con i biglietti. Sono centoquarantadollaribaby: venti chili per sette dollari al chilo. Non ho nessuna intenzione di pagare, ovviamente. Avendo un po’ di esperienza di Turchia, comincio a contrattare – so già che non riavrò il biglietto a gratis. “Massimo venti” – ingaggio. Fa l’offeso: “mi vuoi comprare?” – replico “ovvio che no, io ho già pagato il bagaglio, questa è una mancia”. Sorride “centoventi” – ribatto “cinquanta” – cerca di chiudere: “settanta e siamo amici”. “Euro vanno bene? – sì, vanno bene”. Allungo la pecunia (50 euro), infila velocemente la banconota nella giacca e mi rende il biglietto. Dalle lingue che usa con gli altri malcapitati, capisco che siamo stati attentamente selezionati in base alla provenienza (e verosimilmente alla capacità reddituale). Ha incassato almeno 250$ in una notte. Non so come verranno spartiti, ma sono un bel po’ di grana. Credo che succeda solo con i voli notturni.

Protestare e fare valere i propri diritti? Qui da queste parti? Se avete queste idee in testa, non partite neanche. Qui l’unica abilità che conta è negoziare.

Ho il biglietto e mancano due ore al prossimo volo, Baku-Tbilisi. Al volante di una carrettiera del cielo, il nostro comandante e la hostess energumeno dovranno vedersela con gente poco dimestica con l’acqua e passeggeri ubriachi che molestano le donne in aereo. Ma questa, lo sapete, è un altra puntata.

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Non immaginavo che un viaggio all’apparenza di routine si sarebbe trasformato in qualcosa di un po’ più avventuroso. È stato divertente e tanto vale raccontarlo.

Differentemente dalla mia consuetudine, decido di partire con un volo AirBaltic, Dublino->Riga->Tbilisi. Sembra tutto regolare: l’aereo è in orario, lo staff cordiale (e decisamente grazioso), tutto pulito. Se penso che ho acquistato il volo di sola andata per duecento miseri euro tasse incluse, mi sento un privilegiato.
Arrivo a Riga – non è certo l’aeroporto di Istanbul, decisamente più piccolo ma carino. Capeggiano, nel loro giallo nauseante, le indicazioni per i gate della Ryanair e c’è da dire che hanno anche qui un seguito notevole, con code di gente di ogni età ad ogni imbarco.

Soddisfatto della fugace vista dell’aeroporto (ho 4 ore di connection wait), vado al transfer desk per prendere la carta di imbarco e far trasferire il bagaglio. “No signore, siamo spiacenti, il suo volo per Tbilisi è stato cancellato. Può prendere il volo di domani alle 22:40”. Il sudore comincia a scendere lento dalle mie tempie – “mi scusi? ma io devo arrivare a Tbilisi domattina, non dopodomani…” – sorriso di circostanza – non sa che pesci prendere. Ho un flash: “mi scusi, ma in questo momento i miei bagagli dove sono?” – “conveyor 2, signore.”. La guardo con fare cagnesco, sa che ritornerò.

Mi precipito al passport check e mi ricordo di quale fortuna ho che siano nella EU ora; se non lo fosse stata avrei pure avuto problemi con il visto. Tutto fila liscio e raccolgo i bagagli, dopodichè vado al customer point della Air Baltic.

Devo aprire una parentesi sul customer point AirBaltic. Se siete all’aeroporto di Riga e ad un tratto credete di essere in paradiso circondato da donne bionde alte 1.80 con visi angelici, sappiate che siete arrivati al customer point AirBaltic.

Rispiego il problema e mi rispondono, davvero in un ottimo inglese, di essere spiacenti ma di non avere un altro volo per Tbilisi in giornata. Ho un secondo flash: “mi scusi, ma non potrei arrivare a Tbilisi via Baku o Yerevan? Non avete, che so, Riga-Yerevan-Tbilisi o Riga-Baku-Tbilisi?”. Il sorriso mi fa capire che l’idea sembra piacerle e digita velocemente uno di quei criptici comandi tipici dei terminali aeroportuali (no, Windows non è ancora approdato negli aeroporti, per fortuna!). Mi guarda con lo sguardo di chi ha una grande notizia – “si, c’è un volo alle 23:50 per Baku e un volo domestico (?) alle 7:40 da Baku per Tbilisi. Arriverà a Tbilisi alle 8.00, solo cinque (!) ore più tardi.”.

“Ok, va bene, lo prendo. Ma a Baku ho bisogno di un visto di transito?”. Questa è una di quelle volte che ringrazio il Padreterno di avermi fatto viaggiare e di conseguenza di avermi fatto sapere che esiste un visto di transito. Il sorriso dell’operatrice mostra tutto il suo imbarazzo – avrebbe dovuto verificare lei, non aspettare che il cliente lo chiedesse.
Questa apparentemente semplice domanda scatena vivaci discussioni con i colleghi e una fitta serie di telefonate modello operatore di borsa. Passa talmente tanto tempo che decido di telefonare al massimo esperto di voli, ovvero mio fratello. Alla fine giunge il responso, “no signore, non le serve un visto di transito.” – fantastico! Chiedo quant’è la differenza da pagare: “niente signore, è stato un nostro problema e questo cambio è gratis.”. Almeno una buona notizia! Penso a cosa sarebbe successo con una Ryanair qualsiasi.

Corro al check-in ed imbarco tutto, dal momento che tutto ciò che volevo era sbarazzarmi di quei 40kg di valigie. Check-in effettuato, mi richiama mio fratello – “ti serve un visto di transito ma sembra tu lo possa acquistare a Baku. Ti servono però due fototessera e 60$.”. Non ho dollari e tantomeno le foto. “Tutto apposto, parto e vedo cosa succede lì” – mi risponde – “ma sei pazzo?” – a cui replico – “forse, ma non ho scelta. Grazie!”.

Tutto apposto quindi. Posso chiamare la mia compagna ed avvertirla del ritardo – poteva andare molto peggio. Non sapevo però cosa sarebbe diventato il viaggio da qui in poi. Ma questo nella prossima puntata.

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